Giurisprudenza-Benvenuti nel sito ufficiale del Sindacato As.Di.P.P.

Giurisprudenza

A. In genere

  1. La perdurante ed uniforme applicazione della sola parte economica del Ccnl, da parte di datore di lavoro non iscritto ad associazioni firmatarie, comporta per quest'ultimo l'obbligo di dare applicazione all'intero Ccnl. (Trib. Milano 2/12/2003, ord., Est. Negri della Torre, in D&L 2003, 923)
  2. Nel caso in cui il datore di lavoro, non iscritto all'associazione sindacale firmataria del Ccnl, abbia recepito formalmente la disciplina contenuta nel medesimo, lo stesso datore di lavoro, con riferimento alle materie per cui è stato espresso un espresso pactum de contrahendo referentesi alla contrattazione decentrata, sarà tenuto ad applicare anche le eventuali successive modifiche o integrazioni apportate ad opera dei contratti collettivi territoriali purchè sussista un coordinamento logico tra la contrattazione nazionale e quella territoriale. (Corte d'Appello Trento, 28/4/2003, Pres. Zanon, in D&L 2003, 613, con nota di Angelo Beretta, "Efficacia soggettiva della contrattazione collettiva e recezione automatica dei rinnovi contrattuali")
  3. E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 30 del d.lgs. 31/3/98, n. 80, sollevata - in riferimento all'art. 3, primo comma, Cost. - nella parte in cui prevede la possibilità di un accertamento pregiudiziale sull'efficacia, validità ed interpretazione dei contratti collettivi dei dipendenti pubblici da parte di un giudice ordinario, impugnabile direttamente con ricorso per cassazione, e non consente analogo esame diretto dei contratti collettivi di diritto comune nel settore dell'impiego privato, attesa la profonda diversità tra i contratti che regolano tali rapporti. (Cass. 18/8/00, n. 10974, pres. Grieco, est. Filadoro, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 707)
  4. E' valido l'accordo sindacale aziendale concluso con taluni dei (e non con tutti i) sindacati presenti in azienda, sempreché i sindacati sottoscrittori siano effettivamente rappresentativi del personale dell'azienda (rappresentatività non contestata, in fattispecie, dal ricorrente). Nel rispetto della condizione della rappresentatività, deve ritenersi che l'accordo raggiunto con due delle quattro sigle sindacali presenti in azienda, essendo conforme alla procedura delineata dalla legge (comunicazione a tutte le associazioni e trattativa con quante ne facciano richiesta e non necessario raggiungimento di una intesa con tutte le associazioni destinatarie della comunicazione), sia idoneo a spiegare gli effetti cui è destinato, e tra essi quello di fissare i criteri di scelta per la riduzione di personale, in deroga a quelli di cui all'art. 5, comma 1, l. n. 223/91. Ritenere, come assume il ricorrente, che ai fini della validità dell'accordo sia necessario che tutte le organizzazioni sindacali debbano necessariamente partecipare alla trattative e sottoscrivere l'accordo paralizzerebbe ogni possibilità di realizzare il meccanismo di controllo sindacale della materia che costituisce la ratio della norma, in quanto sarebbe sufficiente a realizzare l'effetto vanificatorio la mancata partecipazione o il dissenso anche di un solo sindacato (Cass. 3/12/01, n. 15254, pres. Mileo, est. Lupi, in Lavoro e prev. oggi 2002, pag. 134)
  5. Alla stipula di accordi aziendali sono legittimate, oltre che le rappresentanze sindacali aziendali (cui va riconosciuta una generale legittimazione negoziale all'interno di luoghi di lavoro) e le organizzazioni deputate statutariamente a rappresentare specifiche categorie di lavoratori, anche le organizzazioni nazionali (confederazioni, federazioni nazionali) rappresentative di tutte le categorie di lavoratori, in ragione di una naturale sovraordinazione delle organizzazioni nazionali su quelle locali e di raccordi dei diversi livelli di contrattazione sindacale, diretta non certo a vanificare l'autonomia e la indispensabile diversità di articolazione delle politiche aziendali, ma a fissarne un momento unitario per il perseguimento di finalità generali destinate invece a valorizzare detta autonomia (nella specie, si trattava della sottoscrizione da parte di sindacati nazionali dei bancari, aderenti alla CGIL, alla CISL e UIL, di un accordo per il rinnovo del contratto aziendale dell'Ipacri) (Cass. 12/2/00 n. 1576, pres. Lanni, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 617, con nota di Bano, Alcuni problemi in materia di accordi collettivi aziendali)
  6. Sebbene il contratto collettivo sia di norma vincolante soltanto per l'imprenditore iscritto a una delle associazioni stipulanti, non ne è preclusa l'adesione attraverso l'applicazione autonoma delle clausole contrattuali. Spetta altresì al giudice di merito accertare se lo svolgimento del rapporto di lavoro consenta di ravvisare un'adesione tacita. Quest'ultima evenienza è però legata all'applicazione di tutte le clausole contrattuali e non di alcune di esse soltanto, con l'ulteriore precisazione che l'osservanza di norme imperative di legge - ad esempio in materia di retribuzione, ferie, festività - non può essere equiparata a una spontanea manifestazione di volontà, anche se nella pratica fonti contrattuali e fonti legali possono, in relazione a determinati istituti quali quelli richiamati, prevedere discipline identiche (Cass. 12/4/00, n. 4705, pres. D'Angelo, est. Roselli, in Riv. Giur. Lav. 2001, pag. 168, con nota di Leotta, Brevi riflessioni in tema di efficacia soggettiva del contratto collettivo di diritto comune)
  7. I contratti collettivi contengono disposizioni cosiddette normative (che riguardano la disciplina dei rapporti di lavoro) e disposizioni cosiddette obbligatorie (i cui destinatari diretti sono le organizzazioni sindacali stipulanti). Peraltro, la contrattazione collettiva ha introdotto clausole in cui sono intrecciati elementi normativi ed elementi obbligatori e che, pertanto, posseggono natura bivalente, obbligatoria nei confronti dell'organizzazione sindacale, e normativa sul piano della disciplina del rapporto. Ne segue che tali clausole sono invocabili anche dal singolo lavoratore (Cass. 5/9/00, n. 11718, pres. De Musis, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 357)
  8. Il contratto collettivo post-corporativo - e quello aziendale in particolare - è stipulato dal sindacato in virtù di un potere di negoziazione collettiva che gli è attribuito dall'ordinamento a titolo originario, e non sulla base di un mandato rappresentativo conferito dai singoli lavoratori (Trib. Potenza 1/2/00, est. Colucci, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 186, con nota di Cattani, Sul tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie collettive di lavoro e sulla legittimazione attiva e passiva delle organizzazioni sindacali)
  9. L'art. 14, 3° comma, del Ccnl Enti Locali, nella parte in cui prevede l'estinzione del rapporto di lavoro in ipotesi di mancata ripresa del servizio allo scadere del periodo di aspettativa, è da ritenersi nullo ai sensi dell'art. 1418 c.c., dovendosi escludere che l'autonomia privata possa introdurre cause di risoluzione del rapporto di lavoro diverse ed ulteriori rispetto alla legge. (Corte d'appello Milano 14/1/2004, Pres. ed Est. De Angelis, in D&L 2004, 159)
  10. L'accordo sindacale non può legittimamente modificare i diritti individuali dei lavoratori garantiti dalla legge (Pret. Milano 6/12/95, est. Cecconi, in D&L 1996, 681)
  11. Le limitazioni al potere di rappresentanza conferito mediante procura da una società per azioni a un soggetto che non sia amministratore della società sono opponibili ai terzi secondo le regole generali di cui all’art. 1396 c.c., posto che la regola dell’inopponibilità delle limitazioni a detto potere di rappresentanza di cui all’art. 2384, 2° comma, c.c. è dettata esclusivamente con riferimento alla rappresentanza "organica" degli amministratori; pertanto la società per azioni può legittimamente invocare l’inefficacia nei propri confronti del contratto sottoscritto da un procuratore non amministratore, allorché il terzo sia a conoscenza (o sarebbe potuto esserlo usando l’ordinaria diligenza) delle limitazioni poste dalla procura (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 25/2/99, est. Perrino, in D&L 1999, 607, n. Pavone)
  12. Ai sensi dell'art. 1418 c.c., deve ritenersi nulla la disposizione del Ccnl contraria a norme imperative di legge (nella fattispecie, è stata dichiarata la nullità dell'art. 20 del Ccnl Aziende Municipalizzate di Igiene Urbana che sanciva l'obbligo dei lavoratori di provvedere personalmente al lavaggio degli indumenti utilizzati per lo svolgimento della prestazione lavorativa) (Trib. Milano 6 luglio 2000, est. Peregallo, in D&L 2000, 993)
  13. E’ nullo per indeterminatezza e indeterminabilità dell’oggetto l’accordo sindacale aziendale il cui contenuto vada individuato per relationem con riferimento ad altra ipotesi di accordo, il cui contenuto risulti a sua volta essere assolutamente incerto, in quanto rinegoziato in successivi accordi dei quali non si conosca l’esito (Pret. Nola, sez. Pomigliano d’Arco, 25/2/99, est. Perrino, in D&L 1999, 607, n. Pavone)
  14. È illegittimo, in riferimento all’art. 3 Cost., 1° comma, l’art. 36 SL nella parte in cui non prevede che la "clausola cd. sociale" – che impone all’appaltatore di opere pubbliche obbligo di applicare ai propri dipendenti condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona – debba essere inserita anche nelle concessioni di pubblico servizio; tale omissione infatti viola il principio di parità di trattamento, nonché di imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione e di tutela del lavoro subordinato (Corte Costituzione 19/6/98, pres. Granata, rel. Vari, in D&L 1998. 888)
  15. Non sono in contrasto con l'art. 39 Cost. le norme (art. 45 D. Lgs. 3/2/93 n. 29, modificato dal D. Lgs. 4/11/97 n. 396 e art. 47 bis D. Lgs. 3/2/93 n. 29, introdotto dall'art. 7 D. Lgs. 4/11/97 n. 396) che demandano al contratto collettivo di comparto il compito di individuare i soggetti del negoziato decentrato (Trib. Milano 10 maggio 2000 (decr.), est. Vitali, in D&L 2000, 681)
  16. Le disposizioni dei contratti collettivi non si incorporano nel contenuto dei contratti individuali e non danno luogo a diritti quesiti, onde il lavoratore non può far valere il diritto derivante da una disposizione collettiva, ove questa sia venuta a cadere. (Trib. Brescia 5/10/01, pres. e est. Tropeano, in Lavoro giur. 2002, pag. 665, con nota di Zavalloni, Il principio di non ultrattività nei contratti collettivi di diritto comune)
  17. La contrattazione collettiva non può disporre se non in senso migliorativo dei diritti attribuiti al dipendente dal contratto individuale di lavoro, salvo che il dipendente stesso non consenta espressamente alla modificazione dei patti, non essendo sufficiente a ciò la semplice adesione al sindacato di categoria, ma risultando essenziale un esplicito ed espresso mandato (in applicazione di questo principio di diritto, la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima la variazione dell'orario di lavoro a tempo parziale risultante dal contratto di lavoro individuale disposta unilateralmente dal datore di lavoro, in quanto consentita dalla contrattazione collettiva aziendale, ma contro la volontà della dipendente). (Cass. 17/3/2003, n. 3898, Pres. Dell'Anno, Rel. Cellerino, in Lav. nella giur. 2003, 681)
  18. Stipulando un'ipotesi di accordo soggetta all'approvazione da parte dei lavoratori, le organizzazioni sindacali stipulanti si autolimitano con riguardo all'efficacia dell'intesa già raggiunta, che deve essere perfezionata dall'approvazione, non soggetta a vincoli di forma, della maggioranza dei lavoratori. (Corte d'Appello Milano 8/2/2002, Pres. Ruiz, Est. De Angelis, in D&L 2002, 319, con nota di Maurizio Borali, "Ipotesi di accordo ed orientamento della giurisprudenza")
  19. In ipotesi di accordo aziendale stipulato da istanze territoriali delle associazioni sindacali, trova applicazione il principio generale dell'efficacia soggettiva operante per i contratti collettivi di diritto comune; ne consegue che detto accordo non può applicarsi al lavoratore che non abbia conferito alle associazioni stipulanti un espresso mandato, salvo che sia fornita prova di una ratifica successiva, espressa o anche a mezzo di comportamenti concludenti inconciliabili con la volontà di non aderire all'accordo. (Corte d'appello Trento 5/11/200, Pres. Zanon Est. Caracciolo, in D&L 2004, 125)

B. CCNL applicabile

  1. Nel vigente ordinamento del rapporto di lavoro subordinato, regolato da contratti collettivi di diritto comune, l'individuazione del contratto collettivo che regola il rapporto di lavoro va fatta unicamente attraverso l'indagine della volontà delle parti risultante, oltre che da espressa pattuizione, anche implicitamente dalla eventuale protratta e non contestata applicazione di un contratto collettivo determinato. Il ricorso al criterio della categoria economica di appartenenza del datore di lavoro, fissato dall'art. 2070 c.c., è consentito al solo fine di individuare il parametro della retribuzione adeguata ex art. 36 Cost., quando non risulti applicato alcun contratto collettivo, e sia dedotta l'inadeguatezza della retribuzione contrattuale ex art. 36 Cost. rispetto alla effettiva attività lavorativa esercitata (nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di appello che aveva ritenuto insufficiente la retribuzione prevista da un contratto collettivo applicato dalle parti rispetto a quello oggettivamente applicabile ex art. 2070 c.c.) (Cass. 29/7/00, n. 10002, pres. Dell'Anno, est. Lupi, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 395, con nota di Manganiello, La Sezione Lavoro riapre il contrasto sulla inapplicabilità dell'art. 2070 c.c. al contratto collettivo di diritto comune)
  2. Ai fini dell'individuazione del CCNL postcorporativo applicabile al rapporto di lavoro, l'appartenenza della categoria professionale si determina, ai sensi dell'art. 2070 c.c., secondo l'attività effettivamente esercitata dal datore di lavoro, senza che al riguardo abbia rilevanza la circostanza che le parti abbiano aderito ad associazioni sindacali di categoria non corrispondenti all'attività medesima, atteso che le parti non possono – in ragione della natura pubblicistica della citata disposizione – convenire di sottoporre il rapporto alla disciplina di un contratto collettivo di verso da quello applicabile ai sensi della norma stessa, a meno che il contratto individuale non risulti più favorevole al lavoratore (Cass. 6/11/95 n. 11554, pres. Taddeucci, est. Vidiri, in D&L 1996, 997)
  3. L'art. 2070 detta una disciplina di natura pubblicistica e, in quanto tale, inderogabile dalla volontà delle parti con contratto individuale; questo, pertanto, non può prevedere la regolamentazione del rapporto di lavoro sulla base di un contratto collettivo diverso da quello in concreto applicabile in base ai criteri indicati dalla norma suddetta. (Trib. Milano 14/9/2002, Est. Martello, in Lav. nella giur. 2003, 585)
  4. Per il contratto collettivo di diritto comune, che è disciplinato dal diritto privato, vige il principio della c.d. "autodefinizione della categoria professionale", in forza del quale spetta unicamente alle organizzazioni stipulanti definire il campo di applicazione del contratto collettivo, senza possibilità alcuna, in base al principio di libertà (artt. 18, 39, 41 Cost. ), né di sindacato del giudice né di imposizione eteronoma, non avendo più l'art. 2070 c.c. natura pubblicistica (Trib. Milano 18/9/00, est. Negri della Torre, in Orient. giur. lav. 2000, pag. 610)
  5. In ipotesi di accordo sindacale aziendale, che preveda l'applicabilità ai dipendenti di un determinato contratto collettivo nazionale, i rapporti di lavoro facenti capo all'azienda stipulante sono disciplinati dal contratto collettivo nazionale individuato dalla contrattazione collettiva aziendale, posto che il criterio dell'attività effettivamente esercitata, previsto dall'art. 2070 c.c., ai fini dell'individuazione del contratto collettivo applicabile, deve ritenersi superato dal principio della libera autodeterminazione sindacale, in base al quale il contratto collettivo di diritto comune è applicabile esclusivamente ai datori di lavoro iscritti all'associazione stipulante o, in difetto, a quelli che l'abbiano esplicitamente o implicitamente accettato (Pret. Lucca 2/1/95, est. Bartolomei, in D&L 1995, 647)
  6. L'applicazione sotto il profilo inquadramentale e retributivo del Ccnl del settore industriale esclude che il datore di lavoro iscritto all'albo delle imprese artigiane possa per ciò solo rivendicare l'applicabilità del Ccnl del settore artigiano. (Trib. Milano 31/1/2003, Est. Cincotti, in D&L 2003, 339)

C. Rapporti tra contratti di diverso livello

  1. Il contratto collettivo aziendale, per quanto di livello inferiore, ben può derogare, anche in senso peggiorativo, al precedente contratto nazionale (Trib. Firenze 19/2/97, pres. Stanzani, est. De Matteis, in D&L 1998, 120, n. FIORAI, Deroga in pejus da parte di nuovo contratto collettivo e diritti acquisiti)
  2. Per l'individuazione del contratto applicabile ai rapporti di lavoro privati non è stata adottata la tecnica legislativa prevista dall'art. 40, terzo comma, d.lgs. n. 165/2001, vigente nel settore pubblico; pertanto, le regole di competenza fissate dal contratto collettivo nazionale sono inidonee a rendere invalide le clausole difformi dal contratto aziendale. Infatti, le clausole del contratto nazionale sulla competenza del contratto aziendale sono riconducibili alla parte obbligatoria del contratto collettivo e l'eventuale violazione delle stesse dà luogo ad un inadempimento degli obblighi che gli stipulanti hanno reciprocamente assunto, inadempimento rilevante solo sul piano delle relazioni intersindacali. (Corte d'Appello di Milano 4/3/2003, Pres. Est. Mannacio, in Riv. it. dir. lav. 2003, 511, con nota di Giorgio Bolego, Sull'efficacia obbligatoria delle clausole collettive che delimitano la competenza del contratto aziendale)
  3. Verificata nel caso di specie la natura di contratto collettivo tacito del c.d. uso aziendale, ne consegue la sua modificabilità, anche "in peius ", da fonti collettive come i contratti collettivi nazionali ed aziendali (Trib. Milano 22/11/00, est. Taraborrelli, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 1002)
  4. Il contratto collettivo aziendale siglato dalla Rsu, in quanto soggetto autonomo ed indipendente rispetto alle organizzazioni sindacali firmatarie del Ccnl applicato nell'unità produttiva e dotato di rappresentanza e rappresentatività, può derogare, anche in peius, le disposizioni normative nelle materie già regolamentate dal Ccnl, in quanto l'eventuale violazione del limite di competenza opererebbe esclusivamente a livello di relazioni sindacali. (Corte d'Appello Milano 18/2/2003, Pres. Mannacio, in D&L 2003, 287, con nota di Angelo Beretta, " Rsu ed efficacia erga omnes della contrattazione collettiva aziendale")
  5. Il contratto collettivo applicato direttamente come fonte collettiva non si incorpora nei contratti individuali di lavoro, con conseguente esclusione del diritto dei lavoratori di pretenderne l'efficacia successivamente alla sua disdetta da parte del datore di lavoro. L'art. 13 D. Lgs. 13/1/99 n. 18 che impone all'appaltatore di servizi aeroportuali di assistenza a terra il rispetto del Ccnl per gli addetti ai servizi a terra e di gestione aeroportuale, produce effetti limitatamente tra appaltante ed appaltatore ma non è idoneo a sovvertire il principio secondo il quale è rimessa alla libertà sindacale la scelta del contratto collettivo applicabile. In forza del principio di conservazione del contratto individuale di lavoro, nell'ipotesi in cui venga meno la disciplina del Ccnl per disdetta dello stesso da parte del datore di lavoro, è legittimo il contratto aziendale che preveda l'applicazione di un Ccnl indipendentemente dal suo ambito di efficacia soggettiva. (Corte d'Appello Milano 4/3/2003, Pres. Mannacio Est. De Angelis, in D&L 2003, 293, con nota di Filippo Capurro, "Profili di efficacia soggettiva e temporale del contratto collettivo")

D. Successione nel tempo dei contratti

  1. In ipotesi di successione nel tempo di più contratti collettivi, eventuali modifiche peggiorative devono far salvi gli intangibili diritti acquisiti di natura retributiva, per tali intendendosi quelli aventi a oggetto elementi retributivi collegati alla professionalità del lavoratore, e restandone esclusi quelli inerenti a particolari modalità della prestazione (Cass. 22/4/95 n. 4563, pres. De Rosa, est. Guglielmucci, in D&L 1995, 1012)
  2. I contratti collettivi di diritto comune sono abilitati anche a modificare in senso peggiorativo precedenti e più favorevoli clausole contrattuali, ma esplicano la loro efficacia esclusivamente riguardo ai soggetti iscritti e rappresentati, quali non sono per antonomasia i pensionati cessati dal servizio (per i quali è necessaria un’esplicita e documentata adesione alla specifica nuova pattuizione) e nei limiti dei diritti quesiti (Pretura Pistoia 31/12/97, est. Amato, in D&L 1998, 338)
  3. Un contratto collettivo successivo non può modificare diritti dei singoli lavoratori, non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti, che siano già maturati ed entrati nel patrimonio giuridico dei lavoratori stessi (nel caso di specie il pretore ha ritenuto non vincolante per i lavoratori non iscritti alle organizzazioni sindacali stipulanti la previsione di un accordo collettivo che ha retroattivamente disposto l'erogazione di azioni dell'azienda in luogo di un'indennità) (Pret. Roma 9/3/99, est. Bonassi, in Riv. Giur. lav. 2000, pag. 66, con nota di Comanducci, Successione di contratti collettivi e interessi corrispettivi)
  4. Nella successione di diversi contratti collettivi non è configurabile l'illegittimità della nuova disciplina per violazione dei principi di adeguatezza della retribuzione e di garanzia delle professionalità acquisite di cui agli artt.36 Cost. e 2103 c.c., nel caso in cui la modifica dei criteri di calcolo della retribuzione non determini un peggioramento del livello economico acquisito dai lavoratori e non incida sulla loro professionalità, comportando la loro assegnazione a mansioni meno qualificanti. (Cass. 12/2/00, n. 1576, pres. Lanni, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 617, con nota di Bano, Alcuni problemi in materia di accordi collettivi aziendali)

E. Contratti efficaci erga omnes

  1. Qualora la disciplina di un contratto collettivo (postcorporativo) reso efficace erga omnes ai sensi della L. 14/7/59, n. 741, contrasti con quella contenuta in un successivo contratto collettivo di diritto comune, tale contrasto deve essere risolto, ai sensi dell'art. 7 della citata legge, con riferimento ai trattamenti economici e normativi minimi, nel senso che deve essere data applicazione al contratto con efficacia obbligatoria generalizzata, non derogabile dai successivi contratti collettivi privi di tale efficacia o da contratti individuali, salvo che la disciplina propria di questi ultimi, valutata complessivamente, sia più favorevole ai lavoratori. Ne consegue che la mera denunzia di una clausola contrattuale sopravvenuta asseritamente derogativa in peius ove non accompagnata da un analitico esame di tutti gli elementi idonei ad una valutazione complessiva delle discipline contrattuali a confronto non è sufficiente a dimostrare il carattere globalmente peggiorativo della normativa nella quale la clausola denunciata è inserita (Cass. 9/10/99 n. 11338, pres. De Tommaso, in Riv. Giur. Lav. 2000, pag. 489, con nota di Terenzio, I rapporti tra contratti collettivi di diversa natura)

F. Ultrattività

  1. Il contratto collettivo di diritto comune è regolato dalla libera volontà delle parti, le quali possono fissare il termine entro il quale cessa di efficacia. In presenza di detto termine, solo l'espressa previsione nel contratto collettivo di una clausola di ultrattività può determinare il protrarsi degli effetti oltre la naturale scadenza. Al fine di protrarre gli effetti del contratto collettivo oltre la sua naturale scadenza non può poi addursi il fatto che una delle parti non abbia dato disdetta nella forma prevista dal contratto stesso, richiedendo l'ultrattività degli accordi sindacali il consenso di entrambe le parti sociali (Cass. 12/2/00, n. 1576, pres. Lanni, in Riv. it. dir. lav. 2000, pag. 617, con nota di Bano, Alcuni problemi in materia di accordi collettivi aziendali)
  2. I contratti collettivi di diritto comune operano esclusivamente entro l'ambito temporale concordato dalle parti, costituendo manifestazione dell'autonomia negoziale delle parti; non si applica pertanto ai suddetti contratti il disposto dell'art. 2074 c.c. (circa la perdurante efficacia del contratto dopo la scadenza), valevole esclusivamente per i contratti collettivi corporativi, con la conseguenza che le clausole di contenuto retributivo vengono meno per il periodo successivo alla scadenza contrattuale (Trib. Brescia 5/10/01, pres. e est. Tropeano, in Lavoro giur. 2002, pag. 665, con nota di Zavalloni, Il principio di non ultrattività nei contratti collettivi di diritto comune)
  3. La ritenuta inapplicabilità ai contratti collettivi post-corporativi del principio di ultrattività di cui all'art. 2074 c.c. non comporta l'automatica cessazione delle clausole relative al trattamento economico, stante la loro incidenza su beni di rilevanza costituzionale. (Trib. Firenze 16/2/2002, Est. Lococo, in D&L 2002, 855, con nota di Filippo Pirelli, "Ultrattività del contratto collettivo e giustificato motivo oggettivo di licenziamento")
  4. In assenza di clausola espressa, deve essere esclusa l’ultrattività del contratto collettivo scaduto, ed è legittima la retroattività del patto collettivo se prevista da questo (Trib. Firenze 19/2/97, pres. Stanzani, est. De Matteis, in D&L 1998, 120, n. FIORAI, Deroga in pejus da parte di nuovo contratto collettivo e diritti acquisiti)

G. Condotta antisindacale

     

  1. Integra gli estremi del comportamento antisindacale la tipula di un contratto collettivo integrativo con una sola organizzazione dei lavoratori, sulla scorta di una piattaforma discussa esclusivamente con quest'ultima, in assenza delle restanti componenti della delegazione sindacale (Trib. Patti 26/3/01 decreto, est. Randazzo, in Lavoro nelle p.a. 2001, pag. 398, con nota di Campanella, Contrattazione integrativa e pluralismo sindacale (a proposito della legittimazione a trattare e stipulare il contratto collettivo) )
  2. L'art. 28, l. 300/70 non tende a risolvere ogni tipo di condotta conflittuale tra le parti sociali che possa nascere dall'interpretazione o dalla esecuzione di un contratto collettivo, ma solo a sanzionare l'ipotesi in cui l'inadempimento alla contrattazione collettiva sia diretto a frustrare le libertà e l'attività sindacale (Trib. Torino 8/1/01, pres. e est. Re, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 37)
  3. Si configura una condotta antisindacale quando il datore di lavoro viola la disciplina contrattuale (nella fattispecie è stato riconosciuto il carattere dell'antisindacalità al comportamento del datore di lavoro che abbia omesso di svolgere la procedura di informazione e consultazione con le organizzazioni sindacali, prevista dal contratto collettivo applicato, in relazione in particolare alla gestione degli straordinari) (Trib. Pistoia 29 febbraio 2000 (decr.), est. Amato, in D&L 2000, 916, n. Valluri)
  4. Costituisce comportamento antisindacale la violazione di un accordo sindacale attuata con modalità tale da screditare il ruolo del sindacato firmatario dell’accordo stesso (Trib. Milano 30/6/99, pres. ed est. Mannacio, in D&L 1999, 812)
  5. Un sindacato che non abbia sottoscritto un accordo, non avendo speso la sua immagine e credibilità di fronte ai lavoratori, non può ricevere alcun pregiudizio dalla sua eventuale violazione e non ha quindi alcun interesse giuridicamente apprezzabile ad agire ex art. 28 S.L. per il suo inadempimento (Trib. Milano 24/2/96, pres. Siniscalchi, est. Ruiz, in D&L 1996, 632)
  6. Pone in essere un comportamento antisindacale il datore di lavoro che violi diritti sindacali di informazione – consultazione, derivanti da norme di accordi collettivi (nella fattispecie, è stata dichiarata antisindacale la violazione, da parte del datore di lavoro, dell'obbligo di negoziare con il sindacato un nuovo criterio di distribuzione dell'orario di lavoro) (Pret. Milano 3/3/95, est. Canosa, in D&L 1995, 572. In senso conforme, v. Pret. Sondrio 3/10/94, est. Della Pona, in D&L 1995, 301, con nota redazionale: nella fattispecie, si trattava dell'informazione dovuta per il caso di lavoro straordinario; Pret. Milano 3/11/94, est. Ianniello, in D&L 1995, 301, con nota redazionale: nella fattispecie si trattava dell'informazione dovuta per lavoro straordinario e il Pretore ha ordinato all'azienda di convocare una riunione con il sindacato ricorrente per il confronto sul tema ipotesi di straordinario, vietando, nel caso di inadempienza a questo primo obbligo, il ricorso al lavoro straordinario oltre i limiti stabiliti dalla contrattazione collettiva)
  7. La violazione di accordi con le OO.SS. integra gli estremi dell’antisindacalità, per gli evidenti riflessi sull’immagine e la credibilità del sindacato nei confronti dei propri assistiti (nella fattispecie il datore di lavoro ritenendo erroneamente non sussisterne più i presupposti, non aveva applicato un accordo sulle pause retribuite) (Pret. Milano 30/9/98, est. Porcelli, in D&L 1999, 69)
  8. Costituisce comportamento antisindacale la violazione di accordi presi con le OO. SS. che escludevano il ricorso a licenziamenti collettivi (Pret. Milano 12/11/94, est. Peragallo, in D&L 1995, 323)
  9. È antisindacale il comportamento del datore di lavoro consistente nella violazione di accordi collettivi riguardanti diritti economici dei lavoratori, allorché tale violazione si realizzi con modalità tali da ledere l’immagine e la credibilità del sindacato (nella fattispecie è stato ritenuto antisindacale il comportamento della società consistito nel disapplicare un accordo aziendale che prevedeva il riconoscimento, a favore dei lavoratori, della quattordicesima mensilità, mentre era ancora in corso la trattativa con le OO. SS. in relazione alla modifica di tale accordo) (Pret. Lecco 27/4/98, est. Cecchetti, in D&L 638)
  10. Costituisce condotta antisindacale l'applicazione, ai dipendenti iscritti a un'organizzazione sindacale, di un contratto collettivo aziendale che tale organizzazione non ha sottoscritto e rispetto al quale ha anzi manifestato aperto dissenso (Pret. Milano 30/3/95, est. Vitali, in D&L 1995, 569)
  11. E' antisindacale il comportamento del datore di lavoro che pretenda di escludere un'organizzazione sindacale dalla contrattazione per il rinnovo del contratto aziendale, quando il precedente contratto preveda l'impegno di tutte le organizzazioni sindacali stipulanti alla convocazione congiunta per ogni ipotesi di contrattazione. (Trib. Milano 6/12/2001, Decr., Est. Curcio, in D&L 2002, 329)

H. Interpretazione del contratto collettivo

  1. L'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è riservata, salva l'eccezione dei contratti collettivi dell'ex pubblico impiego introdotta dall'art. 68, comma 5, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 23, aggiunto dall'art. 29 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, al giudice del merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione. (Nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla S.C., aveva ritenuto che l'art. 34 del Ccnl del 1992 per il settore grafico, così come l'art. 36 del Ccnl del 1996, nel disporre che il Tfr si computa sommando per ciascun anno una quota di retribuzione, dovesse essere interpretato alla luce della nozione di retribuzione definita dai medesimi Ccnl come quanto complessivamente percepito per la prestazione lavorativa nell'orario normale, con conseguente esclusione della possibilità di computare nel Tfr il compenso per lavoro straordinario che, per definizione, non è percepito per la prestazione resa nell'orario normale). (Cass. 11/3/2004 n. 5004, Pres. Capitanio Rel. Celentano, in Dir. e prat. lav. 2004, 2157)
  2. L'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è rimessa al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione o per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che, in tema di rapporto di lavoro dei dipendenti delle Ff. Ss., aveva ritenuto dovuta nella misura massima della terza l'indennità di posizione prevista dall'accordo sindacale del 13 maggio 1993 per i Dirigenti centrali coordinatore trazione (Dcct) in favore del ricorrente, il quale aveva successivamente acquistato una diversa qualificazione rientrante nei Dirigenti centrali trasposto (Dct), sostenendo -con motivazione immune da vizi- la continuità tra le posizioni professionali Dcct e Dct sulla base dell'Accordo del 3 marzo 1995). (Cass. 26/1/2004 n. 1355, Pres. Ciciretti Rel. Cuoco, in Dir. e prat. lav. 2004, 1443)
  3. In tema d'interpretazione dei contratti collettivi, l'individuazione della comune intenzione delle parti, in considerazione della loro peculiare natura e della specificità dell'oggetto della contrattazione, non è sempre facilmente individuabile facendosi ricorso al solo criterio letterale; in tal caso il canone ermeneutico dettato dall'art. 1363 c.c. assume una portata ancora più incisiva. (Cass. 9/5/2002, n. 6656, Pres. Mercurio, Est. Picone, in Riv. it. dir. lav. 2003, 14, con nota di Cristina Saisi, Clausole collettive in materia di contribuzione sindacale e criteri della relativa interpretazione).
  4. In tema d'interpretazione degli atti negoziali, l'art. 1362 c.c., nel prescrivere all'interprete di non limitarsi al senso letterale delle parole, non intende svalutare l'elemento letterale nell'interpretazione, ma anzi ribadire il valore fondamentale e prioritario che esso assume nella ricerca della comune intenzione delle parti, onde il giudice può ricorrere ad altri criteri ermeneutici solo quando le espressioni letterali non siano chiare, quando le suddette esporessioni si presentino univoche secondo il linguaggio corrente, il giudice può attribuire alle parti una volontà diversa da quella risultante dalle parole adoperate soltanto se individua ed esplicita le ragioni per le quali predette parti, pur essendosi espresse in un determinato modo, abbiano in realtà inteso manifestare una volontà diversa. (Cass. 2/8/2002, n. 11609, Pres. Ciciretti, Rel. Di Iasi, in Lav. nella giur. 2003, 73)
  5. Nell'interpretazione del contratto collettivo è utilizzabile anche il criterio del comportamento posteriore delle parti di cui all'art. 1362, secondo comma, c.c., quest'ultimo potendo essere integrato da un successivo contratto collettivo che presupponga una determinata interpretazione di una complessa ed organica disciplina di istituti contrattuali articolata nel tempo e nel corso di più contratti collettivi. (Cass. 5/2/00, n. 1311, pres. Santojanni, est. De Matteis, in Argomenti dir. lav. 2001, pag. 712)
  6. L'interpretazione delle disposizioni collettive di diritto comune è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica. (Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto carente la motivazione del giudice di merito il quale, in relazione al contratto collettivo del 26 novembre 1994 dei postelegrafonici, aveva omesso di verificare se alle tre posizioni retributive differenziate esistenti all'interno dell'area operativa corrispondessero differenti qualifiche collegate a mansioni afferenti a distinti profili professionali, omissione rilevante in quanto, se così fosse risultato, la norma inderogabile contenuta nell'art. 2103 c.c. non avrebbe consentito di considerare equivalenti, ai fini dell'inquadramento, mansioni diverse, ciascuna corrispondente ad un diverso livello retributivo). (Cass. 17/3/2003, n. 3918, Pres. Sciarelli, Rel. Balletti, in Lav. nella giur. 2003, 675)
  7. Nell'interpretazione della disciplina contrattuale collettiva dei rapporti di lavoro - la quale spesso è articolata su diversi livelli (nazionale, provinciale, aziendale etc.), regola una materia vasta e complessa in ragione della interdipendenza dei molteplici profili della posizione lavorativa, e utilizza il linguaggio delle cosiddette relazioni industriali, non necessariamente coincidente con quello comune - assume un rilievo preminente il criterio, dettato dall'art. 1363 c.c., dell'interpretazione complessiva delle clausole, mentre il criterio letterale cui fa riferimento l'art. 1362 non deve essere utilizzato in contrasto con la finalità della ricerca della concorde volontà delle parti contraenti - secondo il medesimo articolo costituente l'obiettivo dell'attività ermeneutica -, e trascurando la frequente mancanza di una chiara corrispondenza tra il tenore testuale delle espressioni e la volontà delle parti (Cass. 9/8/00, n. 10500, pres. Ianniruberto, est. Vidiri, in Orient. giur. lav. 2001, pag. 30)
  8. All'interpretazione della contrattazione collettiva, che, anche quando è di diritto comune, ha una funzione di "norma regolamentare settoriale", non sono automaticamente estensibili le regole ermeneutiche proprie dell'interpretazione dei negozi di diritto privato, e, ove si prospettino più interpretazioni, deve preferirsi quella rispondente al criterio dell'armonizzazione tra la clausola della disciplina settoriale - cioè della clausola contrattuale- e le regole di portata generale che connotano il diritto vivente del lavoro (Nella specie, con la sentenza impugnata era stato riconosciuto il diritto di un dipendente delle Ferrovie dello Stato all'inquadramento in una categoria superiore per lo svolgimento per oltre 90 giorni delle relative mansioni in sostituzione di dipendenti con diritto alla conservazione del posto di lavoro, poiché l'azienda, in violazione dell'art. 41 del contratto collettivo, non gli aveva comunicato, prima dell'inizio dello svolgimento delle mansioni superiori, i nominativi dei dipendenti sostituiti, con la specificazione dei corrispondenti incarichi; la S.C. ha confermato tale decisione, rilevando che il giudice di merito aveva interpretato la clausola contrattuale come impositiva di rigide garanzie, e cioè come diretta alla salvaguardia più piena della dignità del lavoratore in caso di esercizio dello "ius variandi", disattendendo invece l'ipotesi interpretativa formulata dal datore di lavoro, che prospettava l'esigenza di un contemperamento degli interessi delle parti, con il riconoscimento anche delle esigenze di funzionalità aziendale) (Cass. 18/7/0, n. 9430, pres. Trezza, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 893)
  9. Ai fini dell'applicazione dell'art. 64, D.Lgs. n. 165/2001, relativo al rinvio pregiudiziale all'Aran in caso di questioni attinenti all'efficacia, validità od interpretazione di clausole di contratto collettivo, la normativa contrattuale sottoposta al vaglio del giudicante, poiché interamente pattizia e di tipo privatistico, deve essere innanzitutto interpretata dal giudice alla stregua delle ordinarie regole di ermeneutiche fissate dagli artt. 1362 ss. c.c. Soltanto ove, dopo aver applicato i criteri ermeneutici previsti dagli artt. 1362-1365 c.c., non si possa attribuire alla norma contrattuale un significato univoco, essendo la stessa priva di alcun significato o ammettendo una pluralità di significati tutti astrattamente conformi alla comune intenzione delle parti, deve ritenersi che il contenuto della norma sia oscuro con conseguente attivazione del meccanismo pregiudiziale. (Trib. Gorizia 8/1/2002, Est. Masiello, in Lav. nella giur. 2003, 254, con commento di Domenico Pizzonia)
  10. Sulla base dei principi in tema di interpretazione dei contratti ex art. 1362 ss. c.c., non è ammissibile l’interpretazione analogica di un contratto integrativo aziendale (Pret. Parma 19/5/98, est. Ferraù, in D&L 1998, 999, nota Pavone)
  11. L'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è devoluta al giudice di merito ed è censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione e violazione dei canoni dei canoni di ermeneutica contrattuale. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto non sufficientemente né logicamente motivata la sentenza di merito che, escludendone la natura retributiva, aveva attribuito all'indennità di cantiere corrisposta ai lavoratori dipendenti dell'Enel natura di rimborso spese, essendosi detta sentenza fondata sul rilievo che l'indennità è prevista nella stessa disposizione contrattuale che prevede i rimborsi, senza considerare che ai lavoratori che operino in determinate condizioni possono essere corrisposti tanti rimborsi spese che indennità volte a compensare le particolari modalità della prestazione. La Corte ha inoltre ritenuto che non rileva la previsione della fissazione in sede locale dell'esatta misura dell'indennità stessa, tra il minimo ed il massimo previsto dal CCNL, giustificandosi tale variabilità con la possibilità di differenziazione delle condizioni di lavoro nei vari cantieri). (Cass. 27/8/2002, n. 12573, Pres. Ciciretti, Rel. Celentano, in Lav. nella giur. 2003, 73)
  12. L'interpretazione dei contratti collettivi di diritto comune è devoluta al giudice di merito ed è censurabile in cassazione solo per vizi di motivazione e per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale (nel caso di specie, la Suprema Corte ha confermato la sentenza del giudice di merito il quale, avendo ritenuto, sulla base dell'interpretazione letterale del Ccnl del 1994, che con esso le parti avessero inteso sopprimere retroattivamente i csompensi premiali previsti dalla precedente contrattazione collettiva nazionale, aveva riconosciuto il diritto dei ricorrenti-dipendenti delle Ferrovie dello Stato andati in pensione negli anni 1993-1994-a percepire gli elementi retributivi premiali previsti dall'art. 33, secondo comma, lettera n, del Ccnl del 1990-1992 dalla data di maturazione del diritto fino alla data del loro collocamento a riposo, ritenendo che il diritto al compenso premiale fosse già entrato nel patrimonio dei lavoratori al momento della cessazione del rapporto. (Cass. 3/2/2003, n. 1557, Pres. Sciarelli, Rel. Figurelli, in Lav. nella giur. 2003, 570)
  13. Nell'interpretazione del contratto collettivo è prioritario e prevalente il criterio di coerenza tra atto da interpretarsi e valori fondamentali del diritto vivente del lavoro la cui violazione è censurabile in sede di legittimità (nel caso di specie, il c.c.n.l. del 1995 per i dipendenti del Casinò di Sanremo disponeva l'automatica sospensione dal lavoro del dipendente colpito da ordinanza di custodia cautelare in carcere; una volta che questi era stato rimesso in libertà, il datore aveva rifiutato di riammetterlo in servizio; sulla base dell'art. 29 del citato c.c.n.l. la S.C. ha statuito l'onere del datore di lavoro di comunicare al dipendente le ragioni che ostano alla revoca della sospensione e alla ripresa dell'attività lavorativa). (Cass. 1/7/2002, n. 9538, Pres. Prestipino, Est. Guglielmucci, in Riv. it. dir. lav. 2003, 501, con nota di Andrea Pardini, Interpretazione della clausola collettiva ambigua secondo il criterio di armonizzazione)